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al testo di Livia
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Storie di alveari
Dice che c’è un uomo in casa….dice che devo mandarlo via….sono io quell’uomo.
Il Signor Edoardo quasi piangeva. Il suo viso rugoso segnato dalla vicissitudini di guerra e dalla fatica conteneva a stento tutto il suo dolore. Si capiva che era trattenuto, che se fosse crollato avrebbe rotto gli argini. E parlava sottovoce, tanto che dovevo davvero tendere le orecchie, perché lei, Adelina, la moglie, non lo sentisse. Ma cosa poteva capire una donna ormai centrifugata nel labirinto dell’Alzahimer, che vedeva fantasmi inesistenti persino in casa sua?
Il dottore dice che la devo mettere in un casa di riposo, che non posso reggere ancora a lungo questo peso… ma come faccio io a dirglielo, come faccio dopo 40 anni di vita insieme ? Come faccio ?
Istintivamente gli afferrai le mani, come si fa per calmare il tremito di un bambino. Non lo conoscevo nemmeno il Sig. Edoardo. Ci si incontrava nel palazzo le poche volte incrociando le nostre vite sulle scale. Solo buongiorno e buonasera, in questi alveari maledetti così anonimi, così zeppi di gente, di storie, di risate e di dolori.
Parlava, sentivo quel colosso d’uomo barcollare moralmente sotto il mio peso, troppo fragile per sostenerlo, per sostenere quella scorza forte di ex-partigiano. Si sapeva che aveva combattuto in montagna meritandosi persino una medaglia al valore. Lui, la roccia. Lui che aveva attraversato il tempo per sposare Adelina, la sua bellissima sposa bambina.
Vent’anni di differenza fra i due, e Adelina era ancora una bellissima donna di 60 anni. Una malattia arrivata troppo presto. La vita dà, la vita prende. Quando ti presenta il conto non è detto che tutti si riesca a pagare la cifra finale.
Il giorno dopo seppi che il Sig. Edoardo si era tolto la vita e che Adelina era stata messa in una casa di riposo.
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